Hypernating
di e con Cristina
Kristal Rizzo e Charlie Laban Trier
con il sostegno di
Central Fies art work space nell’ambito del progetto Live Works#7, Live Arts Week Xing, Dansemakers Amsterdam
“ Perdere il senso dei propri confini corporei può accadere quando danziamo, in ascolto con un’altra persona, o immersi nella natura. Molte persone descrivono la sensazione come un sentire intenso di “ perdita di sé “: sentire di confondersi con l’altro o con il pae-saggio, perdere o non avere più il senso di essere “ sé “, può essere pauroso ma anche esilarante, liberatorio e gioioso. “– Imogen Stidworthy, "Detours", e-flux journal issue 115.
Il suono potrebbe essere l'elemento più sottile del materiale percettibile.
In Hypernating CKR e CLT esplorano le possibilità e i bordi di una voce narrante. Una voce ‘ fuori luogo ‘ - che diventa molteplici voci - portata da un trans-corpo. Queste voci narrano, senza voler mai dichiarare - un testo o delle storie come messaggi misteriosi e seducenti, sono voci che evocano immaginari a metà tra il corporeo ed il visionario e dan- no forma a spazi capaci di essere abitati da immaginazioni e sogni immateriali.
Voci cieche come quella dell’Oracolo Tiresia, che sono come un canto ma con la qualità di un playback, come se fossero completamente distaccate dalla materia organica.
CKR e CLT si chiedono se queste voci possono proporre una promessa al buio, l’assenza di una soggettività come potenziale apparizione per un altro corpo, per un’immagine artifi- ciale che appare e scompare nell’oscurità della visione. Mettono in discussione la Real- ness di una voce e ci chiedono di fare una passeggiata nell’Uncanny Valley. Cercano modi per creare e poi decomporre le immagini, così da non essere mai interessati a definire il riconoscimento di una figura e per far questo, ci chiamano all’oscurità - a stare in uno spa- zio buio. Le immagini si modellano fisicamente in luminosi luccichii che immediatamente vengono riassorbiti nella materia viscosa del buio.
Nel buio della scena, dei corpi si muovono con gesti minimali, manipolando altri corpi ap- parentemente indossabili: una giacca a vento paillettata, degli oggetti tecnologici concepiti per il suono, schermi illuminanti: telefoni cellulari, monitors LCD - rotti o che hanno perso la loro funzione per divenire qualcosa d’altro, come tracce di un tempo super-illuminato, che ancora si trattiene nell’ossessione della limpidezza/ sensazione come riconoscimento di una realtà biologica. La piece é una specie di racconto del corpo, come un monologo interiore che diventa un potenziale discorso collettivo, forse é una canzone d’amore - la trama di una collisione artificiale che modula l’apparizione diffusa di un misterioso disegno.